Amare ancora.
14 Dicembre 2023 2023-12-14 10:01Amare ancora.
In fondo alla Val Brembana, 1300 metri di quota, in un rifugio che è anche albergo, abbiamo rinnovato la tradizione della vacanza studio di Portofranco. Una cinquantina di ragazzi, una decina di adulti, studio alla mattina e al pomeriggio, giochi e canti alla sera. Abbiamo iniziato la vacanza cantando “Se il Signore non costruisce la città” di Claudio Chieffo e non è un particolare secondario, come raconteremo. Aurelio ha raccomandato a tutti di vivere fino in fondo il nostro naturale desiderio e anche questo, come si leggerà, non è per niente un particolare secondario. Ragazzi di varie scuole, una decina di ragazzi mussulmani, una nutrita rappresentanza di Quarto Oggiaro e zone limitrofe, con esperienze pregresse di quartiere mica da ridere. “Io frequento GS e Portofranco perché desidero proprio uscire dalla vita che facevo”, racconta Pietro, ferito dalla morte di un amico per overdose. Di desiderio siamo fatti. Ma anche di male. Sempre si chiede a chi torna: “Come è andata la vacanza? Qual è stato il momento più bello?”. È strano, ma forse il momento più bello della nostra vacanza è stato quello più brutto o, meglio, senza quel momento brutto non sarebbe stata la vacanza che è stata. Pausa dello studio. Partita di calcio scatenata nella neve. Lite furibonda tanto che, in una partita vera, ci sarebbero stati degli espulsi, per capirci. Sguardi molto più che arrabbiati verso chi, poco prima, era amico. Nulla di più contraddittorio rispetto ai propositi dell’inizio. Succede, perché siamo capaci di male, “ma che dolore, amore mio, vivere la vita come vivo io e aver perfino dimenticato che non son nato come voglio io”. È da questo dolore che è nata la serata più bella di tutta la vacanza, perché era piena di accorata domanda, perché, “se non è il Signore a costruire la città, invano camminiamo insieme”. Dopo i canti due testimonianze. Prima di Rosabel, una ragazza venuta dalla California apposta per “studiare” Portofranco, per uno stage, assegnatole dalla sua università. È stata da noi per due mesi e per Natale tornerà a casa di là dall’oceano. Ha raccontato la sua storia, a partire dai genitori, emigrati dal Messico per dare un futuro alle figlie, della vita dura nei sobborghi di Los Angeles, dei sacrifici di padre e madre per permetterle di studiare. Mi ha colpito che abbia preparato apposta per la serata un intervento in italiano, lei che l’italiano non lo sa! Desidera rivedere i suoi, ma le costa lasciare Portofranco. Chissà se, grazie a lei, nascerà Portofranco a Los Angeles? Le abbiamo promesso che, nel caso, andremo fin da lei a tagliare il nastro. Poi interviene Paki. Non è il suo vero nome, ma il nome pakistano era difficile ed è stato presto accantonato. Anche lui racconta la sua vita, in primis di un padre che non l’ha mai punito, mai costretto: io non ti ho messo al mondo per farmi voler bene da te, ma per aiutarti a crescere! È lo stesso padre che l’ha accompagnato in giro per Milano alla ricerca di un aiuto nello studio, fino a trovare Portofranco, da cui non si è allontanato più, neanche adesso che lavora e studia all’università. E una ragazza gli chiede perché, ora che non va più a scuola, venga ancora a Portofranco. Le risponde: tu lasceresti la tua famiglia? A partire dal fratello acquisito, aggiunge. Ultimo di nove figli, 25 anni di distanza dal primo fratello, Paki chiedeva a Dio di donargli … un altro fratello ma della sua stessa età, che ha trovato poi a Portofranco e che si chiama Joseph ed è lì. Mi piace come parla Paki. Io, che sono ahimè portato per le frasi fatte, sono ammirato da come parla: ogni parola è “cucinata al momento”, vera. Alla fine della serata, prima di andare a letto, cantiamo “Amare ancora” di Claudio Chieffo: “basterebbe soltanto ritornare bambini e ricordare che tutto è dato, che tutto è nuovo e liberato”. Che bello, che grazia amare ancora, dopo il male visto e fatto!
Ancora qualche piccolo episodio significativo, prima di chiudere.
Siamo sulla terrazza antistante il rifugio, imbiancata di neve. Soufiane, un ragazzo marocchino e mussulmano alto quasi due metri, con la faccia scura, lunga e buona, e Agnese, italiana e cattolica, mi chiedono: vieni con noi a parlare di politica? E Soufiane dice del tanto male che c’è nel mondo e che dovremmo aiutare e sacrificare qualcosa di nostro per chi non ha o ha poco, perché non è giusto così com’è. E Agnese aggiunge: “non basta aiutare, dobbiamo pregare! Il mio papà me lo dice sempre che, oltre che aiutare, bisogna pregare”. E a me torna in mente la canzone con cui abbiamo iniziato la vacanza.
E poi non si può, proprio non si può tralasciare il tè marocchino! I ragazzi mussulmani si sono portati da casa le teiere, per prepararlo e farlo assaggiare a tutti. E io scopro che per loro il tè è l’equivalente del caffè espresso per noi: oggetto di discussione su come vada fatto e bevuto e servito. Ma poi vedo Soufiane arrivare col bicchiere; ha girato il rifugio intero per portarmi il tè, a me che mi son rifugiato in capo al mondo del rifugio per fumare in pace l’ennesima sigaretta. E io mi ritrovo a bere commosso il tè marocchino diventato tiepido.
E infine Aurelio, l’ultima mattina, al ritrovo delle nove prima dell’ultima tornata di studio: “Ieri è ieri, oggi è oggi”. Insomma, dopo una serata tanto bella e vera, si ricomincia.
di Mario Triberti
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