“E io che non ci volevo venire!”
10 Luglio 2023 2023-07-10 12:43“E io che non ci volevo venire!”
Ci vorrebbe una scrittura tridimensionale per raccontare adeguatamente. E anche un commento musicale al presente tentativo d’articolo sulla convivenza dei maturandi.
Venticinque ragazzi, volontari stanziali per tutti e quattro i giorni, altri “volanti”, per un giorno o due, su e giù con la macchina da Milano a Pasturo e viceversa, per studiare coi ragazzi un’ora o due, magari niente, la gratuità al massimo.
L’unico merito che possiamo vantare è il nostro sì all’invito della compagnia. Riconoscere d’aver bisogno, studiare con qualcuno che prima non conoscevi, perseguire gli incontri inaspettati, rinnovare ogni mattina il nostro desiderio, varcando la soglia di quel metaforico bar, da cui provengono luci, canti ed allegria, come cantava Lucio Battisti: “Mi sono alzato Mi son vestito E sono uscito solo, solo per la strada Ho camminato a lungo senza meta Finché ho sentito cantare in un bar Finché ho sentito cantare in un bar Canzoni e fumo Ed allegria Io ti ringrazio sconosciuta compagnia Non so nemmeno chi è stato a darmi un fiore Ma so che sento più caldo il mio cuor So che sento più caldo il mio cuor”.
IL BISOGNO
Sabrina, durante il viaggio di andata, dice: “Voglio gustare fino in fondo questi giorni, ne ho bisogno”. È proprio il bisogno, guarda caso, viene richiamato al primo raduno nello spiazzo antistante la casa. Riconoscerlo, fare i conti col bisogno che abbiamo. E io, confesso, abituato a un altro lessico, non capivo tanto. Ora ho capito di più e penso a quel figlio della parabola, invitato dal padre ad andare nella vigna, che dice di no, perché non ha voglia, ma poi ci va. Senza paragone più contento dei fratelli che han detto di sì e poi non sono andati.
LE CAMPANE
Durante un giretto in paese Joseph, che è egiziano e mussulmano, si stupisce per le campane. Ma perché suonano? E Aurelio gli risponde che una volta, quando nessuno aveva l’orologio, le campane erano essenziali per scandire il tempo, e che servivano certo, orologio dei poveri, a misurare il tempo, ma erano anche un segno, come il rintocco di mezzogiorno, l’ora della pausa dalle fatiche del lavoro e dell’Angelus Domini. E
poi lo dice a tutti, di stare attenti alle campane che sono tra noi, le campane viventi. Ed è proprio così, siamo circondati dai segni che sono i nostri amici e le persone che incontriamo, quattro giorni sovrabbondanti di segni.
SUOR EMANUELA E IL SIGNOR GIANCARLO
Suor Emanuela fa tutto nella casa. Con
solida, ironica umiltà. Sta alla reception, serve a tavola e, una sera, è venuta per raccontarci la storia della casa di Pasturo. E qualcuno all’inizio avrà pensato: ma che c’entra con noi? E il signor Giancarlo, poi, ospite della casa, che c’entra? Ci ha avvicinato durante la cena e ha iniziato a raccontarci la sua vita, 86 anni, vedovo, una vita di lavoro, solo, quattro figli che vede poco, “perché hanno la loro vita”. Poi è venuto alla serata, un po’ spaesato, ad ascoltare gli universitari saliti apposta per raccontare la loro storia, al che si sarà
chiesto “ma che c’entra con me?”.
Ma io ora penso che il signor Giancarlo e suor Emanuela “c’entrano con me”. E penso anche a quanto vitali siano gli incontri, che ci rendono più noi stessi: Portofranco è una
frontiera!
ANTONIA, NON È TROPPO TARDI
La casa “Raggio di sole” di Pasturo, ci racconta suor Emanuela, è il lascito di una ricca famiglia, in memoria di una figlia morta troppo presto. Lei è Antonia Pozzi, una delle più importanti poetesse della letteratura italiana del 900. Morta suicida a 26 anni, per un amore contrastato dalla famiglia e per una vita troppo lontana dalle attese del cuore. Proprio una consorella di suor Emanuela l’ha riscoperta, raccontando la sua vita e pubblicando le poesie sopravvissute alle censure paterne e stimate addirittura da Montale. Con un amore postumo, finalmente arrivato, ed è davvero un mistero, penso io, e vorrei dire “Antonia, non è troppo tardi!”.
MARCO, IL VIOLONCELLISTA DELLA SCALA
Joseph non c’è! Dov’è Joseph? Aurelio lo va a cercare e lo trova nella prima sala della Casa, con la mano tesa verso un prezioso strumento musicale. “Ma cosa fai! Non sai quanto costa?”.
Si fa avanti il proprietario dello strumento, per nulla preoccupato, e inizia a spiegare che si tratta di una viola e gli consegna l’archetto e gli dice che ci vuole un anno intero per fabbricarne uno. Intanto, mentre in salone sta cominciando la serata, Aurelio chiede: “Vuole venire di là con noi, ci racconta di sé e, magari, ci può far ascoltare il suono della viola?”. E lui viene. Un professore della Scala, nientemeno. E non solo esegue un brano, che poi diventeranno due, ma ci tiene una vera e propria lezione sullo studio, sul criterio con cui giudicare la bellezza, sulla tensione alla verità. E c’è un silenzio da non credere.
ECONOMIA AZIENDALE, UNGARETTI E ALTRO
Il tavolo dove si studia economia aziendale è il più grande ed è il più longevo. Nel senso che Laura non molla nessuno, tra Sabrina, Dia e Kirolos che sono gli habitués,
finché non han finito i bilanci e i mutui. E io son stupito, perché gli affaticati tornano sempre, a quel tavolo. In tanti chiedono di ripassare Ungaretti, il poeta più gettonato della convivenza, perché si presta a
tanti nessi, in questo esame orale che richiede di saper collegare uno spunto iniziale con tutte le materie (ma io sfido chiunque a trovare un nesso tra la fotografia, che so, della firma dei Patti Lateranensi o
di Ungaretti in divisa da fante col programma di fisica!). Piuttosto, rileggere Ungaretti coi ragazzi, è un avvenimento anzitutto per me volontario, è stato condividere un’esperienza di bellezza, che resta.
LE CANZONI
Non c’era nessuno espressamente deputato all’organizzazione delle serate, che son nate da ciascuno e da non programmati incontri. E soprattutto dalla libertà dei ragazzi, che hanno rischiato e ci hanno
regalato le loro passioni, come Andrea, che ha cantato una canzone dei Coldplay, perché parla delle luci che ti conducono alla casa e “le luci – aggiunge – sono i miei cari e gli amici”, le sue “campane viventi” insomma;
oppure come Kate, che canta, voce bellissima, Yesterday; e infine Cecilia, che ha cantato L’appuntamento di
Ornella Vanoni, per esprimere l’attesa che vive.
SOTTO IL FAGGIO E LA PARTENZA
Prima di partire, assemblea finale, sotto l’ombrello foglioso del grande faggio. Ogni ragazzo, con semplicità, dice quanto si porta via dalla convivenza. E l’amico violoncellista ci raggiunge e aggiunge la sua sedia al cerchio e dice anche lui la sua. Durante il viaggio di ritorno, porto tre ragazzi a Milano e, mentre guido, li sento parlare tra loro, con
una confidenza che all’inizio non c’era. Luca, ultimo a scendere all’arrivo, mi dice: “Mario, sono proprio contento di questa vacanza. Ho trovato degli amici!”.
Una vacanza iniziata tra qualche dubbio e incertezza e infine vissuta fino in fondo, con passione (“E io che non volevo venire!“, è stato stato uno dei commenti finali).
di Mario Triberti