Portofranco è andato a scuola.

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Portofranco è andato a scuola.

A nord di Milano, quasi al confine con Sesto San Giovanni c’è una bellissima scuola, che si chiama Piazza dei Mestieri. Che una bellissima scuola ci sia, che esista un luogo così, dove i ragazzi altrimenti persi scoprono d’avere un valore, è una grande notizia. Anche il nome è bello ed è programmatico. Una Piazza, perché è un luogo di incontro, aperto a tutti, ai ragazzi che possono imparare un mestiere, ai giovani adulti aiutati a trovare un lavoro dopo averlo perduto, agli ordinari clienti che frequentano il bar al piano terra o il ristorante all’ultimo piano e anche a noi visitatori di Portofranco. In questa scuola siamo andati per festeggiare la conclusione dell’anno con i nostri volontari, ma anche per visitarla e incontrare coloro che l’hanno fondata e la fanno vivere. Due di loro, Cristiana Poggio e Andrea Poggio, che sono madre e figlio e lavorano nello stesso posto, ci hanno prima accolto, ci hanno raccontato la storia dell’opera e guidato la visita della scuola dal primo piano all’ultimo.

Tutto è nato, ci ha raccontato Cristiana, dalla morte di un amico, apparentemente perso durante una gita in montagna ai tempi dell’università, e dalla domanda densa di struggimento dei suoi amici. Il dolore non ha frantumato il sogno condiviso con quel caro amico, ma si è trasformato nell’impegno a costruire qualcosa di bello e buono con il proprio lavoro, come si legge sul sito. Da quella drammatica mancanza sono nati due frutti: l’unità più grande e vera tra quegli amici e, dopo tanti tentativi, la scuola di Piazza dei Mestieri, a Torino, Catania e Milano. E che una morte abbia generato e tuttora alimenti tanta vita è un’altra, straordinaria notizia.

Abbiamo visitato aule e laboratori: il denominatore comune del racconto e degli spazi visitati era la bellezza. La cucina, il laboratorio di acconciatura e barberia, lo spazio per la scuola di estetica, lo studio televisivo addirittura, sono luoghi realizzati bene e con cura, senza dimenticare bar e ristorante che sono parte integrante della scuola, oltre che risorse per il finanziamento.  Nei laboratori insegnano dei maestri. Se abbiamo capito bene, a Piazza dei Mestieri non esiste il professore che, per un anno di seguito almeno, insegna la sua materia, ma tanti professionisti dei mestieri che si succedono, nelle aule, come “maestri”, che trasmettono non solo scienza, ma anche sapienza, la passione per il lavoro, il gusto per la cosa fatta bene, a regola d’arte.

E la valutazione? E il merito che tante vittime fa? Alla Piazza dei Mestieri trovi ragazzi che per la scuola erano considerati persi, il 70% stranieri, molti privi della conoscenza della lingua, per giunta. Ci ha molto colpito che non valgano, come altrove, i voti ordinari. Conta invece che un ragazzo raggiunga la propria realizzazione, che non è la medesima per tutti: per uno può essere l’assunzione in una cucina stellata, per un altro anche il solo miracolo di venirci, a scuola, una mattina dopo l’altra. Ci hanno colpito le tante relazioni che la scuola ha con il mondo, che sia quello vicinissimo della gente del quartiere o degli impiegati delle aziende vicine che vengono a mangiare ogni giorno alla Piazza dei Mestieri cibi e bevande preparati o serviti dai ragazzi, o che sia il mondo più grande delle imprese con cui la scuola lavora in sinergia. Un esempio: il laboratorio di acconciatura costa tanto, perché non si fa che esaurire i prodotti di bellezza necessari, ma qui una grande e famosa azienda di cosmesi fornisce tutto il necessario. I ragazzi imparano così ad usarne i prodotti e potranno in seguito, già formati, trovare più facilmente occupazione. Non è assistenzialismo a una sola direzione, ma reciproco vantaggio. L’esempio, insomma, di come il Terzo settore e l’economia possano andare d’accordo.

E dopo la scuola, che succede? Può succedere che un ragazzo, trovato il lavoro, non sappia conservarlo, stenti, causa la fragilità della volontà oggi così diffusa, a “tenere” nella fatica che ogni giorno si rinnova. Ecco perché la scuola continua ad accompagnare i ragazzi anche durante la prima stagione del lavoro. D’altronde, chi scrive s’è reso conto che, anche a 69 anni, non si è finito di crescere e che di un’educazione, per “tenere” nella vita, abbiamo sempre bisogno.

La visita si è conclusa, naturalmente, con un pranzo. L’avverbio non è un pleonasmo, ma solo chi frequenta Portofranco capisce bene che non poteva finire altrimenti, tant’è il gusto che proviamo. E poi al ristorante di Piazza dei Mestieri si mangia bene e, dalla terrazza che lo circonda, si vedono bene le montagne di Lombardia.

di Mario Triberti