Le lacrime che fan vedere.

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Le lacrime che fan vedere.

Ho avuto un incontro particolare dieci giorni fa a Portofranco con una mamma che era venuta a informarsi per suo figlio che vive una situazione grave. Ne scrivo solo ora perché ho atteso che ritornasse col figlio, ma a tutt’oggi nessuno si è visto. La sera, tra le preghiere, c’erano anche loro.

Seduto sulla panchetta viola, nell’ingresso, chiedo alla mamma che mi sta a fianco di parlarmi di suo figlio. Non sento nulla. Tiene un tono troppo basso per me. La invito ad alzare la voce.

La sua voce non c’è.

Non era per cattiva volontà. La storia di suo figlio che mi stava raccontando le procurava un tal dolore, una tale tristezza, che la voce non veniva.

Bocciato in prima superiore. Si era chiuso in casa, poi in camera, per quasi tutto l’anno. Ora ripeteva la classe prima, ma i cancelli della scuola non li aveva ancora visti.

Il marito se ne era andato quando il bimbo era piccolissimo.

Sola, le aveva tentate tutte.

Era così a terra, che avevo deciso di raccontarle qualcosa di bello, di nuovo: la vita di Portofranco.

Mi accorgevo che faticava ad ascoltare. Le mie parole non la raggiungevano. Era troppo chiusa nella sua tristezza per cui decisi di invitarla a vedere quel che succedeva a Portofranco.

Un invito che tutti i genitori accettano molto volentieri.

Lei stenta a seguirmi. Tutto sembra inutile e tiene una certa distanza da me.

Di che cosa ha paura? Di scoprire qualcosa di nuovo, di bello?

Che paradosso quello d’avere un gran bisogno e non riuscire ad aprire le mani!

È stata la passeggiata più difficile, tra le aule di Portofranco, di questi 15 anni.

Nulla la scuoteva.

Possibile che non si accorgesse del bene che le era davanti e che coinvolgeva tanti studenti e volontari?

Era ostaggio da troppo tempo, dell’angoscia e della tristezza che imprigionavano suo figlio.

Verso la fine della visita, non so come, sono apparse delle lacrime.

Qualcosa in lei si era rotto.

Il suo viso, da troppo tempo irrigidito in una smorfia di dolore, si era un po’ sciolto.

Certe durezze si frantumano più che per una martellata, per una resa.A che cosa?
A quel fiume di bene, a quel voler bene e esser voluti bene che a Portofranco si vedono.
E le ferite che spesso sanguinano, qui, trovano chi cerca e tenta di curarle e, non da soli – impossibile – ma in compagnia, la quale ciascuno aiuta a essere attento a chi c’è e a prendersene cura.

Quella madre stava riscoprendo che, il bisogno enorme che suo figlio aveva, era il suo stesso.

Quelle lacrime mostravano che ella aveva visto più di me; infatti, stava per crollare il muro di separazione.

Cosa aveva visto in quel breve, duro combattimento?

La bellezza della gratuità, del dono di sé, del cuore che ama.

La bellezza d’una fraternità insperata, quale a Portofranco si sta costruendo.

Viene in mente il bel quadro di Segantini dove appare una ragazza che beve con grande dignità, traboccante di gratitudine, un sorso d’acqua pura.

A Portofranco molti conoscono questa esperienza e speriamo che tanti nuovi ragazzi, appena arrivati, si accostino a queste tre cannule, che versano acqua, con quella semplicità che, sola, fa apprezzare ciò che è donato.

Quando capitano queste cose, e quante in una giornata, si capisce di più che non siamo soli.

di Giovanni Borgonovo

 

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