Ho iniziato a seguire A. ad anno iniziato. La ragazza è sveglia, frequenta la terza media, ma mostra una maturità che la fa sembrare più grande; soprattutto è piena di domande su tutto, in particolare sull’attualità.

I nostri primi incontri hanno come argomento la storia. La ragazza, di origine egiziana, deve sviluppare un approfondimento sulle conseguenze della prima guerra mondiale nell’area medio orientale, argomento affidatole dalla sua professoressa.

Non facile, ma ci proviamo dando fondo alle nostre conoscenze, appunti, libro di testo, insomma un bel lavoro.

Ma A. affronta tutto ciò con preoccupazione, ansia e rabbia, molta rabbia per quello che sta avvenendo nei territori palestinesi.

Mi rendo conto che la situazione è molto complessa, si rischia di cadere nella trappola della dialettica e della prospettiva di cercare il colpevole, di vedere la realtà polarizzata in “buoni” e “cattivi” senza andare a scoprire davvero le ragioni di una guerra che è anche dentro di noi.

Le porto degli articoli che anch’io ho letto grazie al suggerimento di miei amici, le racconto che ho avuto la fortuna di conoscere un medico che ha lavorato sulla nave Vulcano, inviata dal nostro governo per aiutare i feriti più gravi provenienti da Gaza, le stampo il racconto di un ex militare che ha fondato un’organizzazione di pace insieme a militari israeliani.

Da ultimo, all’inizio di un ennesimo incontro, le dico che la sera prima mi ero ritrovata con degli amici via zoom e che avevamo pregato per i bambini palestinesi e per i bambini israeliani.

Riprendiamo la nostra lezione, senza più la rabbia dei primi giorni, certo rimane la preoccupazione, ma sappiamo che il dolore e la sofferenza sono di due popoli e noi possiamo affidarci a Qualcuno più grande, perché da soli non bastiamo.

di Marina Viganò